Telefonata con Silvia Fumagalli
Visto l’interesse destato dal precedente articolo sulla situazione dell’Ecuador ai tempi del coronavirus, ho deciso di riscrivere della situazione a distanza di qualche settimana, ma questa volta riportando la diretta testimonianza di un’italiana che ci vive e ci lavora da tempo.
Chi è Silvia
Abbiamo lavorato insieme nel 2017 in Ecuador, quando eravamo entrambi volontari: io per il programma sperimentale dei CCP – Corpi Civili di Pace, Silvia come Servizio Civile all’Estero per la UDAPT – Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Chevron – Texaco, a Quito. Ci siamo occupati di comunicazione e progettazione per questa organizzazione che da anni protegge i diritti dell’Amazzonia ecuadoriana e della sua gente, diritti brutalmente violati dall’estrazione petrolifera selvaggia.
Silvia adesso lavora per la Fondazione ACRA, ONG milanese presente in territorio ecuadoriano da 20 anni. In questo momento si trova ad Ambato nella sierra centro, zona degli altopiani andini. Lavora come assistente alla coordinazione in loco di attività in un progetto diretto alla popolazione indigena della provincia di Tungurahua. Il progetto è focalizzato nella gestione di problemi ambientali, sociali ed economici, per creare una società più partecipativa, rappresentativa e attiva nello sviluppo sostenibile.
Silvia ed io abbiamo deciso che l’intervista non avrà strettamente la struttura tipica “domanda – risposta” ma si svilupperà come un post normale, con alcune citazioni salienti.
Seguono le prime parole di Silvia durante la nostra telefonata della settimana scorsa:
“I dati che arrivano non sono reali. Te li fanno passare per fonti ufficiali (ad esempio il Ministero della Salute o il COE – Comitè de Operaciones de Emergencia1) però non sono dati ufficiali. A Quito e ad Ambato ci sono zone tranquille e altre zone dove c’è il caos totale e la vita è normale. Soprattutto nelle zone periferiche, perché la gente deve uscire e continuare con la propria quotidianità”.
Silvia Fumagalli (S.F.)
La situazione in Ecuador continua ad essere critica sotto molti punti di vista: cerchiamo di capire perché
Normative contro la propagazione del contagio
Accanto alla normativa generale del Governo che impone il coprifuoco,
“perché se non lo chiami coprifuoco la gente non si spaventa abbastanza da restare in casa!”
S.F.
esistono le normative delle 24 province del paese che, più che aiutare, creano confusione sia fra la popolazione che fra le istituzioni locali e nazionali. La provincia è la divisione politico-amministrativa di primo livello in Ecuador, responsabile delle politiche pubbliche e delle ordinanze provinciali nel proprio ambito territoriale.
A livello nazionale le misure d’isolamento predisposte dal Presidente della Repubblica dell’Ecuador, Lenín Moreno, impongono:
- coprifuoco dalle 14:00 alle 5:00
- uso obbligatorio della mascherina
- isolamento obbligatorio dai 60 anni in su
- proibizione di eventi pubblici e massivi e sport all’aperto
- chiusura delle unità educative
- sospensione dei trasporti pubblici urbani ed interprovinciali; dei voli nazionali ed internazionali e quindi la chiusura delle frontiere aeree e terrestri
- circolazione delle automobili un giorno a settimana in base all’ultimo numero della targa
- chiusura delle attività commerciali e servizi pubblici
- sospensione della giornata lavorativa presenziale ad eccezione dei settori alimentare (mercati, supermercati, tienditas), salute, sicurezza, incaricati di servizi basici (acqua potabile, gas ed elettricità), banche e servizi di prevenzione e protezione rischi, al 50% della capienza
A livello provinciale dal mese di maggio, si è deciso di utilizzare un sistema a “semaforo”.
Il semaforo funziona con i tre colori rosso, giallo e verde che cambiano in base all’andamento della curva dei contagi, alla capacità di realizzare tamponi, alla capacità delle infrastrutture sanitarie, al numero di chiamate ricevute dai centralini d’emergenza e alla corresponsabilità e collaborazione dei cittadini.
ROSSO: restano vigenti le norme disposte su scala nazionale con l’estensione degli orari di consegna a domicilio. Rimangono il coprifuoco, la sospensione delle lezioni e della giornata lavorativa ad eccezione dei settori essenziali e si autorizza il servizio taxi in base al numero di targa. Si autorizzano progetti pilota in alcuni settori lavorativi.
GIALLO: permette la ripresa lavorativa nel settore pubblico e privato al 50% del personale. I locali commerciali potranno operare con il 30% della normale capienza, si riduce il coprifuoco dalle 21:00 alle 5:00 e si autorizza il trasporto urbano e interparrocchiale (la parroquia in Ecuador è una divisione amministrativa di piccole dimensioni) al 30% della piena capacità. Si aumenta a due giorni a settimana la circolazione delle automobili.
VERDE: permette di riprendere le attività lavorative con un massimo del 70% del personale, si riduce il coprifuoco dalle 24:00 alle 5:00, si autorizzano i locali commerciali al 50% della capienza e i servizi di trasporto urbano, interparrocchiale e intercantonale (il cantone è una divisione amministrativa più grande della parrocchia) al 50% della capacità. Le automobili potranno circolare a targhe alterne, pari (martedì, giovedì, sabato) e dispari (lunedì, mercoledì, venerdì, domenica).
La data ufficiale di fine stato d’emergenza in Ecuador è ad oggi il 15 giugno 2020
Il Governo ha messo a disposizione un numero d’emergenza per persone che presentano sintomi di Covid-19. Il numero di emergenza è collassato molto velocemente e proprio a questo collasso vengono attribuite diverse morti: il coprifuoco impediva l’accesso alle strutture sanitarie e decine di persone sono appunto morte in casa, aspettando una diagnosi a distanza o una chiamata da parte del numero d’emergenza del Ministero di Salute. Ci sono stati e continuano a verificarsi casi di morti per strada (in particolare a Guayaquil e a Quito): persone che non possono accedere al sistema sanitario e sono letteralmente cadute a terra e sono morte per strada. Questi decessi non entrano nelle percentuali ufficiali delle vittime Covid.
Trasporti
L’organizzazione dei trasporti privati è strutturata in modo tale da far circolare le auto in base al giorno della settimana e al numero finale della targa.
Ci si può spostare a livello nazionale solo se in possesso del salvoconducto, un permesso abbastanza difficile da ottenere e rilasciato per:
- visite mediche su appuntamento
- impiegati dell’industria alimentare, farmaceutica, prodotti di pulizia e igiene, attività di fumigazione, disinfezione, sanificazione di ambienti, esportazione e importazione, settore turistico, produzione agricola e allevamento, pesca e acquacoltura, falegnameria.
Settori vulnerabili della popolazione
Le organizzazioni internazionali che lavorano a stretto contatto con i settori più vulnerabili (chi vive nelle zone rurali e le nazionalità indigene) hanno sospeso tutte le attività sul campo. Il rischio di contagio e le conseguenze tragiche che questo può avere su una popolazione vulnerabile e senza accesso ai servizi, è drammatico.
Per evitare la diffusione del Covid-19 molte comunità indigene hanno vietato l’ingresso di visitatori esterni collocando catene ai diversi ingressi alle comunità quando possibile, oppure ammassando terra e tronchi d’albero per chiudere le vie d’accesso.
Tra i popoli indigeni sono diffuse anche altre patologie, come ad esempio il diabete, la febbre dengue2, la malnutrizione. In molte comunità o villaggi non esistono servizi pubblici di base o protocolli ufficiali per far fronte al virus.
Anche il sistema educativo è in difficoltà
Molti bambini che vivono in zone rurali non hanno accesso all’educazione in linea.
“La pandemia priva dell’opportunità di studiare normalmente”
S.F.
Nella maggior parte dei casi la copertura della rete non arriva nelle comunità o villaggi, rendendo impossibile seguire le lezioni da casa.
“Mi hanno colpito alcune storie di genitori che senza vergogna affermano che non sono in grado di aiutare i propri bimbi. Ci sono bambini che camminano 6 o 7 km per raggiungere un punto internet3”.
S.F.
Costo della vita
I prezzi delle mascherine chirurgiche sono aumentati da un giorno all’altro (in alcuni casi da un’ora all’altra), passando da 0,10 USD a 0,75 USD l’una. In un paese dove una grande percentuale della popolazione lavora informalmente (noi diremmo in nero), è un aumento insostenibile.
Anche i prezzi degli alimenti sono aumentati: se prima con 1 USD si compravano 10 arance, oggi un’arancia costa 0,30 USD. Questo aumento si verifica soprattutto nelle tienditas, negozi al dettaglio che vendono frutta, verdura e un po’ di tutto, molto comuni in Ecuador e in America Latina.
Nei supermercati questo aumento non si è visto, ma sono anche molto più frequentati ed è quindi più sicuro spendere qualche centesimo in più (se ce lo si può permettere) nelle tienditas per cercare di evitare il contagio.
Chi preferisce può comprare i prodotti dei campesinos (contadini) che arrivano in città con le loro camionetas (camionette) per vendere frutta e verdura agli angoli delle strade. Anche questa è una scena tipica in Ecuador.
Campesinos e popolazioni indigene fanno parte di quella fetta di popolazione estremamente vulnerabile che non può permettersi di lavorare secondo le modalità del lavoro agile o smartworking come ormai siamo abituati a chiamarlo.
Per lavorare e quindi per vivere, sono costretti ad uscire di casa
“Morire di fame è sempre possibile. Quindi preferisco morire di fame o preferisco provarci (a mangiare) e morire di malattia ma con la pancia piena, avendo sfamato anche la mia famiglia?”
S.F.
Questa è la domanda che ogni giorno moltissime persone si pongono in Ecuador e in molti altri paesi del mondo.
Dalla risposta a questa domanda, dipende la violazione del coprifuoco, o quarantena, per poter sfamare la propria famiglia e sé stessi. Quindi la possibilità più o meno elevata di contrarre il virus, o nella migliore delle ipotesi, di andare incontro ad una contravvenzione o ad un arresto.
“Molta gente è scappata dall’Ecuador per tornare in Venezuela. In Venezuela! Non in Germania, in Venezuela.”
S.F.
La citazione è significativa perché il Venezuela sta affrontando da anni una crisi socio-economica e politica molto dura4, tanto da costringere centinaia di migliaia di venezuelani a migrare, anche a piedi, verso altri Stati delle Americhe.
Il virus è riuscito ad invertire anche questa tendenza.
“Anche io preferirei morire a casa mia vicino alla mia famiglia, piuttosto che in un paese straniero da sola. Perché è vero che qui il sistema sanitario non è male. Se hai soldi, i macchinari e la professionalità ti guariscono. Ma il sistema sanitario pubblico non funziona. Questo è il problema. Il sistema sanitario qui non ha la capacità di rispondere ad un’emergenza come quella italiana. Crollerebbe in mezza giornata.”
S.F.
Violazioni
Ad Ambato, continua Silvia, ci sono state tantissime denunce per agglomerati illegali di persone che hanno violato il coprifuoco, a volte senza effettiva necessità.
Ambato è una delle città che meno rispetta le restrizioni: al 26 aprile sono state registrate 1,406 sanzioni per il mancato rispetto del coprifuoco nella provincia di Tungurahua.
Tra le violazioni più comuni:
– commercianti informali privi di misure di sicurezza minime (guanti e mascherine)
– incorretto uso del permesso salvoconducto
Queste situazioni si verificano perché solo una percentuale minima della popolazione può permettersi di rispettare al 100% la quarantena
Esplosa la pandemia, e imposte le norme nazionali relative a quarantena e coprifuoco, ci sono stati tantissimi arresti, soprattutto a Guayaquil, e altrettanti abusi di potere da parte della polizia, che ha iniziato a sanzionare le persone in pubblico con flessioni e tagli di capelli arbitrari ed indiscriminati.
Come ti senti in questa situazione?
“All’inizio della pandemia la paura era tanta. Non solo per la mia situazione specifica, ma soprattutto per la situazione in Italia che peggiorava di giorno in giorno. Oggi è soprattutto paura per me e per chi mi sta vicino. Non vorrei mai ammalarmi qui. Se la “normalità” dovesse tornare dal 15 di giugno, continuerò comunque a dedicarmi al lavoro da casa se possibile, altrimenti uscirò, ma solo con la certezza del rispetto delle misure di sicurezza.”
S.F.
In tutto questo, dall’Ambasciata Italiana a Quito, nessuna comunicazione. Neanche una e-mail.
Esistono i voli cosiddetti “umanitari” con prezzi che oscillano tra i 900 e i 1.200 USD solo andata, ma non sono quasi mai diretti e i cittadini devono pagarseli di tasca propria.
Violenza di genere
Durante la quarantena in Ecuador sono aumentati i casi di violenza di genere, a confermare che il #quédateencasa (il nostro #restaacasa) non significa protezione per tutti. Per qualcuno è proprio un pericolo restare a casa, tanto che in Ecuador la violenza di genere è stata definita come la pandemia nella pandemia.
Secondo i dati dell’ ECU 911 (servizio integrato di sicurezza) tra il 12 marzo e il 16 di aprile 2020 sono state ricevute 7.954 chiamate per possibili casi di violenza domestica. Di queste, il 55% proveniva dalle città di Quito e Guayaquil.
Aiuti Statali
Il Governo ecuadoriano ha stanziato sussidi pari a 60 USD mensili a partire dal mese di aprile. Questo sussidio arriva in maniera disordinata e non è previsto che arrivi a tutte le fasce fragili e a rischio, come chi è in condizione di mobilità umana (migranti) o non è iscritto all’IESS – Instituto Ecuatoriano de Seguridad Social (sistema con caratteristiche simili al nostro INPS).
Di seguito in punti, il dettaglio della misura e i criteri per ottenerla:
- nucleo familiare di almeno 4 persone
- ingressi mensili inferiori ai 400 USD
- disoccupazione
- essere stati affiliati all’IESS e al seguro campesino (assicurazione contadina)
A questo sussidio si aggiunge, per certe fasce della popolazione, un’assistenza alimentare con la consegna di un kit di alimenti basici (canasta básica), abbastanza scarso per sfamare una famiglia intera.
Conclusione
La pandemia sta colpendo tutti e continuerà a farlo nei prossimi mesi.
Ci sono grandi differenze rispetto a come uno Stato può salvaguardare i suoi cittadini. Non solo dal punto di vista sanitario, ma anche dal punto di vista socio-economico. Saranno il tempo e le cifre a dire quali misure sono state migliori di altre.
L’Italia è stata un primo esempio di come la più grande Europa e l’ “Occidente” si siano trovati profondamente impreparati di fronte a questa sfida. Tanto piccola che nessun proiettile può colpire, ma abbastanza grande e potente da bloccare il mondo intero per mesi. Questo tipo di minaccia può essere sconfitta con un’unica arma: la ricerca scientifica.
Ancora una volta, ricordiamoci dell’inutilità delle armi contro la forza di una natura che tutt’ora fatichiamo a comprendere del tutto, ma che ci dà da vivere con tutta la sua complessità messa costantemente in pericolo dal nostro “sistema” vorace di risorse e sordo di fronte agli ecosistemi e a chi ci vive.
Grazie Silvia!
Alla prossima testimonianza
Note:
1 Il COE è paragonabile alla nostra Protezione Civile
2 Dengue: la febbre dengue, più conosciuta semplicemente come dengue, è una malattia infettiva tropicale. (Wikipedia)
3 Punto internet: nelle zone rurali e nelle comunità indigene, non c’è copertura uniforme della rete mobile. Esistono però alcuni punti (letteralmente: all’angolo della chiesa, l’albero dietro la scuola…) dove il segnale prende molto poco e se si lascia il cellulare lì per un po’ di tempo, c’è la speranza che arrivino le notifiche o che si possa effettuare una chiamata. Questa è una situazione comune nei paesi che ho visitato (Brasile, Ecuador e Colombia) al di fuori dei centri abitati
4 Crisi in Venezuela: dal 2013 il Venezuela sta attraversando una crisi economica, istituzionale e sociale. Nel 2014 i principali indicatori macroeconomici hanno avuto sviluppi negativi. Durante il primo mandato presidenziale di Nicolás Maduro dal 2013 al 2018 il PIL venezuelano si è dimezzato. (Wikipedia)