FONTI: DIRITTI GLOBALI, NEW YORK TIMES, OSSERVATORIO DIRITTI, PANORAMA, THE DIPLOMAT, TIME, GLOBALIST, HUMAN RIGHTS WATCH
Il 2 luglio 2020 in Birmania nello Stato settentrionale del Kachin, le forti piogge stagionali hanno provocato una frana che si è abbattuta sulla miniera di giada di Hpakant (o Phakant) provocando la morte di più di 160 minatori e numerosi dispersi.
Durante la stagione delle piogge, gli scavi vengono sospesi proprio a causa della pericolosità a cui possono essere esposti i lavoratori, ma quest’anno le attività sono continuate clandestinamente in seguito ad accordi tra i gruppi etnici della zona e minatori illegali.
Non è la prima volta che accade una cosa simile nella zona delle miniere di giada dello stato del Kachin: nell’aprile 2019 sono morte più di 50 persone, nel luglio 2018 sono stati travolti da una frana 12 uomini e ci sono stati altri decessi nel 2016 e nel 2015.
Una guerra per le risorse
Cenni storici
Originari della Mongolia e del Tibet, il popolo dei Karen si è stanziato nella Birmania Orientale, nello stato del Kachin, nel 730 a.C.
Nel 1948, in seguito alla liberazione della Birmania dal governo inglese, gli abitanti della regione, come da accordi[1], reclamavano l’indipendenza dallo stato centrale ed il riconoscimento delle proprie usanze.
Dopo l’inizio della dittatura militare nel 1962, iniziarono gli scontri tra il Tatmadaw (i militari del Myanmar) e l’Esercito per l’Indipendenza del Kachin (KIA), gruppo armato della Kachin Indipendence Organization (KIO), per la conquista del territorio e delle sue risorse naturali tra cui, appunto, la giada.
La successiva presa di potere di Aung San Suu Kyi, nel 2016, ha determinato un peggioramento della situazione, con una escalation di violenze e violazioni di diritti umani nei confronti dei civili.
Le parti in causa ed i loro interessi
Il KIO è il gruppo etnico armato più importante dello stato del Kachin e controlla la maggior parte dell’attività di estrazione delle risorse minerarie.
Nonostante i numerosi accordi di cessate il fuoco che sono stati proposti nel corso del tempo, a metà degli anni ’90 il KIO iniziò ad entrare in competizione con il Tatmadaw per il controllo delle risorse: nei primi anni 2000 la presenza dello stato nella regione si rafforzò ottenendo il controllo di alcune aree di estrazione mineraria.
La maggior parte delle concessioni appartengono all’elite militare birmana e compagnie ad essa legate, a società estrattive private locali, a trafficanti e gruppi mafiosi, a compagnie cinesi o di Singapore. Il Tatmadaw detiene il controllo di numerose aziende, in differenti settori dell’economia, all’interno di cui perpetra violazioni di diritti umani, abusi e lavoro forzato. Nel settore della giada i due grandi colossi sono Mehl e Mec, sempre di proprietà del Tatmadaw.
L’esercito in Birmania ancora oggi detiene gran parte del potere: lo scorso luglio il governo aveva ordinato la sospensione delle attività minerarie nella zona di Hpakant per condurre un’indagine sull’impatto ambientale, ma all’interno di alcune miniere sotto il controllo dei militari, i lavori erano proseguiti illegalmente.
Global Witness ha affermato che nel 2014 il giro di denaro del commercio di giada ammontava a circa 30 miliardi di Euro (circa la metà del PIL nazionale di quell’anno), ed ha definito tale economia come “il più grande furto di risorse naturali della storia moderna”.
Gli interessi economici sono legati a ragioni di carattere politico-militare per il controllo della zona: il rapporto dell’ONU “Tatmadaw and the extractive industry”, afferma che:
«…l’attività economica di Tatmadaw in alcuni settori è legata alla sua strategia militare. Ciò è particolarmente evidente nel coinvolgimento di Tatmadaw nelle miniere di giada e rubino negli Stati di Kachin e Shan, dove i suoi interessi economici si sovrappongono ai suoi obiettivi militari».
Rapporto UN
Nello Stato del Kachin i proventi del commercio illegale di giada vanno anche a finanziare le azioni militari delle due fazioni in lotta, il KIA e le forze militari, per il controllo del territorio.
La situazione attuale
Questa complessa situazione è aggravata ulteriormente dal consistente potere che la Cina esercita sulle imprese locali nel settore della giada, dall’alta percentuale di omicidi connessi alla guerra fra le parti coinvolte e all’illegalità che avvolge la produzione mineraria. A pagarne le conseguenze sono gli innocenti.
La guerra per l’accaparramento delle risorse ignora completamente la crisi socio economica che sta affliggendo la comunità di Kachin: nessuno dei proventi derivante dall’estrazione di giada viene utilizzato a favore delle comunità locali. La popolazione Karen rimane in stato di povertà, privata della sua terra, senza possibilità di appellarsi ad una legge in grado di tutelarla e subisce continue violazioni dei diritti umani. Per tali motivazioni, come per i Rohingya[2], l’unica soluzione per sopravvivere a questa situazione è quella di migrare. Durante i 70 anni di guerra sono stati almeno 500 mila gli sfollati interni e 130 mila persone sono scappate in Thailandia vivendo in condizioni precarie nei campi profughi.
[1] Il Presidente di allora Aung San, padre dell’attuale Consigliera di Stato, Ministro della difesa e Ministro dell’ufficio del Presidente Suu Kyi, con il Trattato di Plangong, aveva concordato con le più grandi etnie del Paese la possibilità di ottenere la loro autonomia politica e sociale.
[2] Altra minoranza etnica della Birmania molto più conosciuta
Giulia Parodi