FONTI: Insightcrime | EPrimeFeed |
Dall’inizio della pandemia in Ecuador stanno cambiando alcune dinamiche, complici uno stato assente, l’emergenza sanitaria, la disoccupazione, la corruzione…
Il narcotraffico internazionale è entrato di petto nella realtà del piccolo paese sudamericano, portando con sé armi, violenza e morte.
Indice principale e più spaventoso di questo fenomeno sono le continue e drammatiche faide tra gang rivali, che si verificano principalmente nelle ormai sovraffollate carceri. L’ultima è stata il 9 maggio scorso, dove sono state uccise 44 persone in una carcere a un centinaio di chilometri da Quito.
I numeri sono spaventosi. Si parla infatti di 400 detenuti uccisi in 18 mesi.
La microcriminalità è arrivata a livelli preoccupati, tanto da modificare la vita quotidiana di moltissime persone anche nella capitale Quito: uscire la sera è diventato molto più pericoloso rispetto a pochi anni fa.
In questo nuovo contesto sono entrati nuovi attori: i cartelli del narcotraffico colombiani e messicani.
L’Ecuador è diventato il principale punto di partenza della coca, dal Sudamerica agli Stati Uniti e all’Europa, sia via mare che per via aerea. In particolare la città portuale Guayaquil, da sempre caratterizzata da livelli di pericolosità elevati, ma mai come quelli registrati dal 2020 ad oggi.
Complice di questa ascesa del narcotraffico anche l’obbligata attenzione che il governo ha dovuto porre nell’emergenza sanitaria, lasciando di fatto carta bianca agli attori illegali, che non hanno perso tempo.
Particolarmente preoccupanti e violenti risultano gli scontri nelle carceri, dove gruppi rivali si affrontano quasi ed esclusivamente con armi bianche, spesso decapitando le vittime. In moltissime carceri il controllo è formalmente nelle mani delle bande criminali, la polizia e le guardi giurate sono corrotte. Spesso queste rivolte sono causate da dispute per il controllo controllo del territorio, da faide interne o da scontri esterni fra bande rivali.